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lunedì 5 ottobre 2015

IL VUOTO E LA SCOPERTA DEL TALENTO


Dal mensile IN ASPROMONTE di ottobre 2015


La copertina di IN ASPROMONTE
di ottobre 2015

Come si diventa “altro” rispetto a ciò che si è? O, ripensando ad un’espressione di Nietzsche, “come si diventa ciò che si è”? Sono interrogativi che hanno il profilo di dilemmi filosofici, eppure pongono delle domande alle quali, a volte, dobbiamo provare a rispondere. Quando Giambattista Scarfone mi ha spedito un suo libro, per sapere cosa ne pensavo, ho subito meditato sulla sua condizione: era sospeso dalla realtà, adesso, e doveva inventarsi un modo per non ammattire.

Che un detenuto intelligente come Giambattista avrebbe trovato “riparo” nei libri non era cosa difficile da capire. Però non immaginavo che quel primo testo che mi aveva mandato, e che lui aveva titolato “Il sole di Lara”, potesse avere la struttura, la forza ed il linguaggio di un libro vero. Ed invece era così.

Era l’inizio di una metamorfosi, di una nuova presa di coscienza. Scenari, luoghi e personaggi  venivano interiorizzati, come mai prima, e delineati su fogli di carta, nel vuoto di una cella. Scatta sempre  qualcosa di indefinibile che spinge un detenuto a scrivere per resistere al tempo, anziché  giocare a bocce, guardare la tv o a fare altro. 
Ovviamente, se analizziamo il passato, sono tante le grandi opere ideate nelle prigioni del mondo. Basti pensare ad Antonio Gramsci oppure ad Oscar Wilde, senza dimenticare che, nel prologo del Don Chisciotte, Cervantes spiegava che il suo capolavoro “fu generato in una carcere, ove ogni disagio domina, ed ove ha propria sede ogni sorta di malinconioso rumore”. Lo stesso Dostoevskij riconosceva di aver imparato molto dai lavori forzati. Ma stiamo parlando di personaggi che erano già dei letterati prima di essere reclusi. Più difficile, invece, è scoprirsi scrittori, in un preciso momento, senza mai avere elaborato un solo rigo in tutta la vita precedente.
Michael G. Jacob (Gregorio) e G. Scarfone
nella biblioteca del carcere di Spoleto (2008)

Come si evince dall’intervista a Giambattista Scarfone, che intanto è impegnato a scrivere il suo 35° libro, forse ognuno ha un talento che deve provare a trovare. A volte tale “dono” si svela nei momenti e nei luoghi più impensabili, ma c’è pure chi non riuscirà mai a trovarlo e questa “è la cosa più triste nella vita”.
Di certo, per un editore, è più facile pubblicare il libro di Fabrizio Corona (magari scritto da un’altra persona) che quello di un detenuto che attraverso un percorso complesso ma veramente formativo arriva a produrre un romanzo. E’ come se il vuoto di un luogo diventasse vuoto dell’anima, e allora ci vuole forza e abilità per insorgere, ripensarsi uomo, e affinare la tecnica giusta per riempire quel vuoto di parole. 

In Giambattista è stato come aprire una diga. Anni di vita accumulati, mai detti, si sono riversati nei suoi libri. E tutto questo, in un certo senso, diventa un lavoro. Perché bisogna sedersi ogni giorno e chinarsi su se stessi per entrare nelle storie. Non c’è un viaggio, un incontro, un evento che possa ispirare qualcosa. Il cammino è solo quello della mente.

Anche quando sono arrivati i riconoscimenti pubblici, come la vittoria del Trevi Noir, la rassegna libraria che nel 2008 anticipava Umbrialibri, Giambattista era assente. Tanto che la giornalista Giovanna Zucconi dovette esordire così: “questa premiazione ha la struttura di un noir, nel senso che c’è un premiato che non è qui”.
Non era stato possibile ritirare il riconoscimento, ma Giambattista Scarfone, da quel momento, divenne un uomo meno segregato, nel senso che riusciva a trovare nei libri la sua libertà. Malgrado gli mancasse tutto.I miei nipoti, per esempio, non mi hanno mai visto fuori da queste mura -  mi dice pensando al futuro - né io ho potuto mai fare una passeggiata con loro. Saranno queste prove a fare la differenza”.

Adesso, dopo tanti anni, la possibilità che un editore si occupi di lui gli appare un miraggio. Eppure Giambattista continua il suo lavoro, e scrive, con la fiducia incrollabile in ciò che fa.
La domanda iniziale, comunque, resta: quando un uomo diventa scrittore, è un uomo cambiato o è solamente diventato ciò che doveva essere?

DOMENICO STRANIERI







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